Volevo che le mie mani fossero strumento di amore…
Il 22 settembre a Cesate (MI) ci siamo incontrati e abbiamo dato vita ad un’Associazione Tecnico-Scientifica infermieristica Italiana, che abbiamo chiamato AHNA Italia. Lo scopo di questa nuova Associazione, affiliata ad AHNA International è quello di riportare tra noi operatori sanitari il valore olistico dell’assistenza e della cura.
Quella che segue è la testimonianza di Roberta Cavaldoro, Infermiera laureatasi nel 2015, operativa in Neurochirurgia Degenze all’Ospedale di Mestre, che descrive esattamente cosa significa per noi #starebeneperfarebene e perchè questo progetto può aiutare la nostra categoria ad uscire dal Burnout generalizzato in cui stiamo precipitando.
Ho scelto questo lavoro affinché la vita potesse fluire attraverso di me e si riversasse nelle persone. Desideravo lasciare un’impronta all’interno dei momenti condivisi con l’altro, dire “questo attimo è nostro, il tuo sorriso è anche il mio e merito del mio agire insieme a te”, volevo aiutare a far provare un attimo di serenità nel mezzo del periodo di maggior sofferenza del corpo, della mente, dell’anima.
Ho capito che l’unica via per raggiungere tutte le sfaccettature dell’essere umano è l’amore. Così ho deciso di far diventare le mie mani uno strumento d’amore.
All’inizio è stato facile e le soddisfazioni erano tante, poi ho cambiato lavoro e poi di nuovo, cercando sempre di mantenere il mio approccio con le persone. Ad un certo punto finisco dove tutti si aspettavano che andassi: in un’azienda pubblica, un ospedale Hub della provincia in cui vivo.
È stato un trauma grandissimo: improvvisamente non avevo più tempo per nessuno, nemmeno per me stessa. Il clima dell’equipe era fragilissimo e l’inserimento non è stato facile. Il tempo di relazione con l’altro ridotto ai minimi termini. Da un momento all’altro non facevo più l’infermiera, ero un’operaia della catena di montaggio. Distribuisci farmaci, metti flebo, togli flebo, broncoaspira, svuota il drenaggio, fai prelievo, buca, buca, buca….
Non respiro, ho mal di testa, non respiro. Non c’è tempo!
Non c’è tempo per la madre che guarda il figlio immobile dopo l’incidente stradale, non c’è tempo per la sorella che piange al letto del fratello che non si sveglierà più, non c’è tempo per la ragazza a cui hanno rasato i lunghi capelli rossi prima dell’intervento chirurgico. Non respiro. Non ci posso pensare, se ci penso devo entrare in relazione con l’altro, capire anche io come mi pongo nei confronti della ragazza con glioblastoma che ha la mia stessa età.
Quindi ho alzato un muro, un invalicabile muro di gelida pietra, dietro al quale mi sono rifugiata; oltre a questo, le emozioni. Ho smesso di stare male. Ok, faccio l’operaia. Do la terapia, faccio il mio. Non mi pongo altri problemi, non posso nemmeno affacciarmi al muro, non voglio stare male.
Ho indossato degli occhiali con una lente grigia, non vedevo più colori né luce, tutto monotono. Ad un certo punto mi sono chiesta se provassi ancora emozioni positive, figurarsi l’amore.
Un’amica è piombata su di me come il primo raggio di sole del mattino che inizia a colorare l’orizzonte e mi ha piano piano coinvolto nella sua visione olistica dell’infermieristica con quello che a noi piace definire “Nurse Pride”. Mi ha preso per mano e mi ha portato con lei alla 1° Conferenza di AHNA Italia.
Passo dopo passo, la lente grigia ha iniziato a sfumare e le pietre del muro sono crollate come fossero state leggere foglie d’autunno. Il mondo attorno a me cominciava a riprendere colore e con ogni intervento della conferenza sbocciava sempre di più. Stavo riprendendo consapevolezza di ciò in cui ho sempre creduto, delle mani come strumento di vita e d’amore.
Quello che mi ha colpito di più degli interventi sono stati gli sguardi: la gioia nelle lacrime, la speranza nel luccichio degli occhi ricchi di aspettative per il futuro. I volti della gioia. E tutto ciò di negativo che avevo accumulato fino a quel giorno è scoppiato con l’abbraccio, quello è stato il colpo finale che ha divelto il muro e ha lasciato entrare tutte le emozioni che avevo accantonato. È stato potentissimo e non riuscivo del tutto a sopportare quella situazione, dopo un po’ volevo spingerla via e andarmene, invece ho pianto. Da quanto non piangevo. Mi sono un po’ trattenuta, dico la verità, per non crollare del tutto. È stato potentissimo. Ringrazio per quei momenti.
Rientro a casa, mi stupisco nei giorni successivi non ho più tutto quel sonno che ho sempre avuto in ogni momento della giornata, eppure i turni li faccio comunque. Rimango meravigliata e mi accorgo di avere tempo, a quel paese la collega che ti dice “sei lenta”, gli armadi dei farmaci posso controllarli anche dopo, mi dedico alla persona che sta male, alla figlia che soffre, al padre che dice addio al figlio, alla ragazza che scopre di avere un tumore, sto con lei, l’accarezzo, lascio che attraverso le mie mani fluisca l’amore.
E finalmente, respiro.
Roberta Cavaldoro si è Laureata come infermiera nel 2015 e sta frequentando il Master in Coordinamento delle Professioni Sanitarie. Le sue passioni sono la natura, la pittura, e il nutrirsi della nella semplicità delle cose quotidiane e della vita.
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